Pubblicato il Marzo 15, 2024

Contrariamente a quanto si crede, la chiave per un investimento ESG di successo non è collezionare fondi “verdi”, ma diventare un detective finanziario che smaschera il greenwashing.

  • I rating ESG sono spesso soggettivi e divergenti; un’azienda può essere “verde” per un’agenzia e mediocre per un’altra.
  • Escludere intere industrie può essere controproducente. L’impatto reale si ottiene finanziando la transizione di aziende tradizionali con piani credibili.

Raccomandazione: Smetti di fidarti delle etichette e impara a valutare la sostanza: analizza le metodologie di rating, verifica i piani di transizione e usa il tuo capitale come leva per un cambiamento autentico e profittevole.

L’idea di far fruttare i propri risparmi sostenendo al contempo un futuro migliore è affascinante. Molti investitori, spinti da questa nobile intenzione, si riversano sui prodotti finanziari etichettati come “ESG” (Environmental, Social, Governance), sperando di allineare il portafoglio ai propri valori. Tuttavia, si trovano spesso disorientati di fronte a una realtà complessa, dove le etichette possono essere fuorvianti e l’impatto reale difficile da misurare. Il rischio è quello di cadere nella trappola del greenwashing, credendo di fare del bene mentre si finanziano, a propria insaputa, pratiche tutt’altro che sostenibili.

Il consiglio comune è spesso quello di “scegliere fondi a 5 stelle” o “investire solo in energie rinnovabili”. Questo approccio, però, è semplicistico e ignora la vera natura della finanza sostenibile. Se la vera chiave non fosse semplicemente comprare ciò che è già “verde”, ma finanziare attivamente la trasformazione di ciò che ancora non lo è? Questo articolo si discosta dalle solite banalità per fornirti la mentalità e gli strumenti di un vero consulente finanziario ESG. Non ti daremo una lista di azioni da comprare, ma ti trasformeremo in un “detective finanziario” capace di guardare oltre le apparenze.

Esploreremo perché i rating sono così divergenti, come i criteri ESG siano in realtà un potente strumento di gestione del rischio e perché finanziare la transizione di un’azienda tradizionale possa avere un impatto maggiore che investire in una start-up già “perfetta”. Dimostreremo che un approccio critico e informato non solo genera un impatto autentico, ma è anche la strategia più intelligente per ottenere rendimenti superiori nel lungo periodo. L’etica, quando basata sull’analisi e non sulla fede, paga.

Questo percorso ti guiderà attraverso le complessità degli investimenti sostenibili, fornendoti una mappa chiara per navigare in questo universo. Scoprirai gli strumenti concreti per costruire un portafoglio che non solo rifletta i tuoi valori, ma che diventi un motore attivo di cambiamento e prosperità.

Perché quel fondo “verde” potrebbe contenere azioni di compagnie petrolifere?

La scoperta più scioccante per un investitore consapevole è trovare titoli di giganti petroliferi o minerari all’interno di un fondo commercializzato come “sostenibile”. Questo paradosso non è un errore, ma una conseguenza diretta della complessa e non standardizzata architettura della sostenibilità finanziaria. Il problema fondamentale risiede nella soggettività e divergenza dei rating ESG. A differenza dei rating creditizi, dove le agenzie sono quasi sempre d’accordo, i rating ESG sulla stessa azienda possono variare drasticamente. Uno studio ha rilevato che la correlazione media tra le principali agenzie di rating ESG è solo dello 0,61, un abisso rispetto allo 0,99 dei rating creditizi.

Visualizzazione di diversi rating ESG per la stessa azienda con grafici circolari colorati

Questa discrepanza nasce da metodologie differenti. Alcuni approcci, come l’esclusione, eliminano interi settori controversi. Altri, molto più diffusi, utilizzano un approccio “Best-in-Class”: selezionano le aziende relativamente migliori all’interno di ogni settore, incluso quello petrolifero. Un gestore di fondi potrebbe quindi includere una compagnia petrolifera che, rispetto alle sue concorrenti, gestisce meglio la sicurezza o investe una frazione in più in ricerca e sviluppo “verde”. Dal punto di vista del fondo, è un leader ESG del suo settore; dal tuo punto di vista, rimane un’azienda basata sui combustibili fossili.

Studio di caso: Tesla e le valutazioni ESG divergenti

Tesla, un’azienda simbolo della transizione elettrica, illustra perfettamente questo caos. Riceve valutazioni ESG molto diverse: MSCI la classifica come “BBB” (nella media), mentre Sustainalytics le assegna un rischio ESG considerato anch’esso “medio”. La ragione di questa apparente contraddizione è che agenzie come MSCI non misurano l’impatto positivo dell’azienda sul mondo (la riduzione delle emissioni grazie alle auto elettriche), ma piuttosto l’impatto del mondo sull’azienda e sui suoi azionisti (rischi legati alla governance, alle pratiche lavorative, alla catena di approvvigionamento). Ciò che è finanziariamente rilevante per l’azienda non è necessariamente ciò che è buono per l’ambiente.

Per un investitore che agisce da detective finanziario, il primo passo è quindi smettere di fidarsi del “bollino verde” e iniziare a indagare sulla metodologia del fondo. È basato sull’esclusione o sul Best-in-Class? Considera solo le emissioni dirette (Scope 1 e 2) o anche quelle della catena del valore (Scope 3), cruciali per valutare una banca che finanzia progetti fossili?

Come i criteri ESG riducono il rischio di crolli azionari dovuti a scandali o disastri?

Molti investitori si avvicinano all’ESG per ragioni etiche, ma un consulente esperto sa che il suo valore più potente è un altro: la gestione strategica del rischio. Un’analisi ESG approfondita non è un esercizio di buonismo, ma un radar per individuare vulnerabilità nascoste che i bilanci tradizionali non mostrano. La crescente popolarità di questo approccio è evidente: si stima che gli asset nei fondi sostenibili globali abbiano raggiunto i 3.500 miliardi di dollari nel 2024, un segnale che il mercato riconosce questo valore.

Vediamo come funziona nella pratica:

  • Il fattore “E” (Environmental): Un’azienda che ignora i rischi ambientali è una bomba a orologeria. Scarsa gestione dei rifiuti, alte emissioni o dipendenza da risorse idriche in aree a rischio siccità possono tradursi in multe miliardarie, interruzioni della produzione o disastri ecologici (come il caso Deepwater Horizon di BP) che fanno crollare il valore delle azioni. Un’analisi ESG rigorosa valuta proprio la capacità di un’azienda di prevenire e mitigare questi rischi materiali.
  • Il fattore “S” (Social): Controversie legate a pratiche lavorative scorrette, scarsa sicurezza dei prodotti o un impatto negativo sulle comunità locali possono scatenare boicottaggi, cause legali e un danno reputazionale quasi impossibile da riparare. Le aziende con un forte pilastro “Social” attraggono e trattengono i talenti migliori, godono di una maggiore fedeltà dei clienti e sono più resilienti alle crisi sociali.
  • Il fattore “G” (Governance): Questo è forse il più importante. Una governance debole, con un consiglio di amministrazione non indipendente, scarsa trasparenza contabile o remunerazioni dei manager slegate dalla performance a lungo termine, è il terreno fertile per scandali finanziari (come Wirecard o Enron). Una solida governance è il miglior indicatore della salute e della sostenibilità a lungo termine di un’azienda.

I dati sulla performance, sebbene volatili, suggeriscono una certa resilienza. I fondi sostenibili hanno mostrato andamenti capaci di recuperare e performare positivamente nel tempo, proprio perché tendono a escludere le aziende più esposte a questi rischi “extra-finanziari”.

Come evidenziato dai dati di mercato, la performance può fluttuare, ma la logica di fondo rimane solida.

Performance mediana dei fondi sostenibili globali
Periodo Fondi Sostenibili Note
Q1 2023 +6,9% Performance mediana positiva
H2 2024 +0,4% Rallentamento significativo
H1 2025 +12,5% Forte rimbalzo globale

Investire ESG non significa quindi solo dormire sonni tranquilli per la propria coscienza, ma soprattutto per la stabilità del proprio patrimonio, proteggendolo da quei cigni neri che possono azzerare il valore di un’azione da un giorno all’altro.

Strumento passivo economico o gestione attiva: quale ha un impatto reale sul cambiamento climatico?

Una volta compresa la necessità di un approccio critico, l’investitore si trova di fronte a un bivio strategico: affidarsi a strumenti passivi (come gli ETF) che replicano un indice ESG a basso costo, o scegliere una gestione attiva, più costosa ma potenzialmente più incisiva. La risposta dipende dall’obiettivo: minimizzare i costi o massimizzare l’impatto reale?

Gli strumenti passivi operano principalmente per esclusione. Un ETF ESG tipicamente elimina le aziende peggiori di un indice e sovrappesa quelle migliori, secondo i rating di un’unica agenzia. È un approccio meccanico, a basso costo e trasparente. Tuttavia, il suo impatto è limitato: si limita a premiare i “già bravi” e a ignorare il resto. Non c’è dialogo, non c’è pressione per il cambiamento, c’è solo un ri-allocamento di capitale basato su dati statici.

La gestione attiva, al contrario, permette di implementare strategie di engagement e shareholder activism. Un gestore attivo può investire in un’azienda non ancora “perfetta” ma con un piano di transizione credibile, e usare il proprio peso come azionista per spingerla a migliorare. Può dialogare con il management, votare nelle assemblee degli azionisti per chiedere maggiore trasparenza sulle emissioni o per legare i bonus dei dirigenti a obiettivi di sostenibilità. Questo è il “voto col portafoglio” nella sua forma più potente. Come sottolinea un’esperta del settore:

Investire in modo sostenibile non è più un’opzione, ma una necessità. La transizione ecologica sta ridefinendo le strategie di investimento, e le aziende che non integrano i criteri Esg rischiano di trovarsi fuori mercato… chi investe guardando al lungo termine non può ignorarla.

– Hanrietta Pacquement, Head of sustainability di Allspring Global Investments

Studio di caso: L’impatto controintuitivo del disinvestimento in Italia

Uno studio illuminante della Banca d’Italia ha analizzato il comportamento dei fondi ESG in Italia. Ha scoperto che la semplice vendita di azioni di imprese più esposte ai rischi climatici (il disinvestimento tipico dei fondi passivi) ha avuto un effetto perverso. Questa pressione di vendita ha ridotto il prezzo delle loro azioni, rendendo più costoso per queste aziende finanziarsi sul mercato. Il risultato? Queste imprese hanno ridotto la spesa ambientale e, in alcuni casi, aumentato le loro emissioni. Questo dimostra che “tagliare fuori” le aziende problematiche, invece di dialogare con loro per migliorarle, può peggiorare la situazione.

La scelta non è quindi solo tra economico e costoso, ma tra un impatto di etichetta e un impatto reale. Mentre la gestione passiva offre una soluzione semplice per ridurre l’esposizione ai rischi peggiori, la gestione attiva offre lo strumento per diventare un vero e proprio motore di transizione, contribuendo attivamente a quel cambiamento che si desidera vedere nel mondo.

L’errore strategico di non investire nella transizione energetica delle aziende tradizionali

L’impulso naturale di un investitore ESG è quello di puntare tutto su aziende “pure green”, come i produttori di pannelli solari o di auto elettriche. Sebbene queste siano componenti importanti di un portafoglio, ignorare le aziende tradizionali impegnate in una seria transizione energetica è un doppio errore strategico: si rinuncia a un enorme potenziale di rendimento e si perde l’opportunità di avere un impatto su scala molto più vasta.

Le cosiddette “brown” industries (energia, materiali, utilities) sono responsabili della maggior parte delle emissioni globali. Finanziare un’azienda di questo settore che ha un piano credibile per decarbonizzare le proprie operazioni ha un impatto marginale enormemente superiore rispetto a finanziare una start-up che è già a zero emissioni. Stiamo parlando di aiutare a ridurre megatonnellate di CO2, non chilogrammi. Questi “motori di transizione” rappresentano una delle più grandi opportunità di investimento del nostro tempo, perché il mercato non ha ancora prezzato correttamente il valore che si sbloccherà dal loro percorso di trasformazione. Investire in innovazione e sostenibilità paga, come dimostrano le performance di alcuni fondi focalizzati su temi specifici: un’analisi Fida sui fondi Articolo 9 ha riportato una performance del 39% da inizio anno per un fondo azionario sostenibile sull’intelligenza artificiale.

Ma come fa un “detective finanziario” a distinguere un piano di transizione serio dal mero greenwashing? Non basta leggere la brochure aziendale. Bisogna analizzare dati concreti e cercare prove di un impegno reale. La seguente checklist fornisce una guida pratica per questa analisi.

Il tuo piano d’azione: Valutare un piano di transizione aziendale

  1. Verifica gli obiettivi certificati: L’azienda ha obiettivi di riduzione delle emissioni che sono stati validati scientificamente dalla Science Based Targets initiative (SBTi)? Questa è la prova del nove della serietà dell’impegno.
  2. Analizza gli incentivi manageriali: I bonus e i piani di incentivazione a lungo termine dei top manager sono direttamente collegati al raggiungimento di specifici obiettivi climatici? Se il denaro non segue le promesse, le promesse sono vuote.
  3. Esamina l’allocazione del CAPEX: Studia il piano di investimenti (Capital Expenditure). Quale percentuale è destinata a nuove infrastrutture per energie rinnovabili, efficienza energetica o cattura del carbonio rispetto a quella destinata all’espansione delle attività fossili?
  4. Controlla i progressi annuali: L’azienda pubblica report di sostenibilità dettagliati, con metriche quantitative chiare e, idealmente, verificate da una terza parte indipendente? Cerca una traccia di progressi costanti anno dopo anno.
  5. Valuta le partnership strategiche: L’impegno alla sostenibilità si estende a tutta la catena del valore? L’azienda sta lavorando con fornitori e partner che condividono gli stessi obiettivi di decarbonizzazione?

Applicare questo filtro permette di identificare le aziende che non stanno solo parlando di transizione, ma la stanno attuando con disciplina e investimenti reali. Queste sono le gemme nascoste che possono offrire sia un impatto ambientale significativo che rendimenti finanziari superiori alla media.

Come prestare soldi agli stati per progetti ecologici ottenendo un rendimento sicuro?

Quando si pensa agli investimenti ESG, la mente corre subito alle azioni. Tuttavia, un portafoglio diversificato e resiliente non può prescindere dal reddito fisso. Anche in questo ambito, è possibile “votare col portafoglio”, prestando capitale a emittenti – inclusi gli Stati – che si impegnano a realizzare progetti con un impatto positivo. Lo strumento principe per farlo sono le obbligazioni sostenibili.

Questi strumenti funzionano come obbligazioni tradizionali: l’investitore presta una somma di denaro per un periodo definito e in cambio riceve pagamenti periodici (cedole) e la restituzione del capitale a scadenza. La differenza fondamentale sta nell’uso dei proventi o negli obiettivi a cui il rendimento è legato. Esistono diverse tipologie, ognuna con uno scopo preciso, che offrono diversi livelli di sicurezza e impatto. Per l’investitore, rappresentano un modo per ottenere un flusso di reddito relativamente stabile e sicuro, contribuendo al contempo a finanziare iniziative concrete.

Mani che tengono documenti finanziari con grafici verdi e simboli di sostenibilità

Per scegliere lo strumento più adatto ai propri obiettivi di impatto e di rischio, è essenziale conoscerne le differenze. Un Green Bond finanzia un progetto specifico, mentre un Sustainability-Linked Bond incentiva un cambiamento a livello aziendale o statale.

Tipologie di obbligazioni sostenibili
Tipo di Obbligazione Caratteristiche Uso dei Proventi Livello di Rischio
Green Bonds Finanziamento progetti ambientali Vincolato a progetti verdi specifici Basso-Medio
Social Bonds Focus su progetti sociali Educazione, sanità, inclusione Basso-Medio
Sustainability Bonds Mix ambiente e sociale Progetti con doppio impatto Basso-Medio
Sustainability-Linked Bonds Rendimento legato a KPI specifici. Progettate per sostenere settori e aziende che attualmente non sono sostenibili, ma che hanno piani concreti e credibili per diventarlo. Non vincolato, ma con obiettivi Medio

In particolare, i Sustainability-Linked Bonds (SLB) sono molto interessanti per l’investitore-detective. Non finanziano un singolo progetto, ma incentivano l’emittente a raggiungere determinati obiettivi di sostenibilità (Key Performance Indicators, KPI). Se l’emittente fallisce, è costretto a pagare una cedola più alta. Questo meccanismo crea un potente incentivo economico al miglioramento e si allinea perfettamente con la strategia di finanziare la transizione.

Riciclare basta o serve votare col portafoglio? L’impatto reale delle tue scelte

Molti cittadini consapevoli si impegnano quotidianamente in azioni virtuose: fanno la raccolta differenziata, riducono l’uso della plastica, scelgono la mobilità sostenibile. Queste azioni sono importanti e lodevoli, ma hanno un impatto limitato se non sono accompagnate da una coerenza a un livello superiore: quello delle scelte finanziarie. C’è una profonda contraddizione nel bere da una borraccia per evitare la plastica e, allo stesso tempo, avere i propri risparmi investiti in un fondo pensione che finanzia i maggiori produttori di plastica al mondo.

Il vero cambiamento sistemico avviene dove si muovono i grandi capitali. Votare col portafoglio significa usare il proprio potere di investitore per influenzare il comportamento delle aziende. Non è un concetto astratto, ma una pratica consolidata ai massimi livelli della finanza. Gli investitori istituzionali, che gestiscono patrimoni immensi, stanno adottando sempre più i criteri ESG non solo per motivi etici, ma come pilastro della loro strategia di rischio.

Studio di caso: L’adozione ESG degli investitori istituzionali italiani

Un’indagine di Itinerari Previdenziali su 131 enti previdenziali e fondazioni italiane, che rappresentano un patrimonio di oltre 263 miliardi di euro, ha rivelato una tendenza inequivocabile. Più di un investitore su due (57%) adotta già politiche di investimento ESG. Ancora più significativo è il motivo: per la stragrande maggioranza (71%), la motivazione tecnica principale è la mitigazione dei rischi in portafoglio. Inoltre, il 47% di chi applica queste politiche lo fa su una quota compresa tra il 75% e il 100% del proprio patrimonio. Questo dimostra che l’analisi ESG è diventata una prassi di gestione fondamentale per i più grandi capitali del paese.

Quando un investitore individuale sceglie un fondo ESG, non sta compiendo un gesto isolato. Sta aggiungendo una goccia a un oceano di capitale che si sta spostando. Questo flusso collettivo invia un segnale potentissimo alle aziende: l’accesso al capitale sarà sempre più costoso per chi ignora i rischi ambientali e sociali, e più vantaggioso per chi li gestisce in modo proattivo. Questo spinge i consigli di amministrazione a cambiare strategia, non per bontà d’animo, ma per necessità economica.

Riciclare una bottiglia è un’azione individuale. Spostare i propri risparmi verso strategie d’investimento sostenibili è un’azione sistemica. Entrambe sono necessarie, ma solo la seconda ha il potere di accelerare la transizione dell’intera economia verso un modello più sostenibile e resiliente.

Quali bollini green aumentano davvero la fiducia dei clienti e quali sono inutili?

Nel labirinto delle etichette e delle certificazioni, l’investitore rischia di perdersi. Molti “bollini green” sono poco più che operazioni di marketing. Tuttavia, esiste un’impalcatura normativa europea che sta cercando di portare ordine e trasparenza: il regolamento SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation). Comprendere questa classificazione è il primo, vero strumento per un detective finanziario per iniziare a distinguere la sostanza dalla forma.

Il regolamento SFDR non è un “bollino” di qualità, ma un obbligo di trasparenza. Impone ai gestori di fondi di dichiarare come integrano la sostenibilità nel loro processo di investimento, classificando i prodotti in tre categorie principali:

  • Articolo 6: Sono i fondi che non hanno alcun obiettivo di sostenibilità o non la integrano affatto. Sono la categoria “neutra”.
  • Articolo 8: Definiti “light green”, sono prodotti che “promuovono, tra le altre, caratteristiche ambientali o sociali”. È una categoria molto ampia e variegata, che va da fondi con un leggero filtro ESG a strategie più robuste. Qui si annida il maggior rischio di greenwashing.
  • Articolo 9: Definiti “dark green”, sono prodotti che hanno un obiettivo di investimento sostenibile esplicito e vincolante. Ad esempio, un fondo che investe solo in aziende la cui attività contribuisce a ridurre le emissioni di CO2. Questa è la categoria più rigorosa.

Un investitore non dovrebbe quindi chiedere “questo fondo è ESG?”, ma “questo fondo è classificato come Articolo 6, 8 o 9?”. Questa semplice domanda cambia completamente il livello della conversazione. Tuttavia, specialmente per i fondi Articolo 8, l’analisi non può fermarsi qui. Come suggerito dagli esperti, è necessario un controllo più approfondito.

Se un fondo è classificato Art. 9, è un ottimo punto di partenza. Se è Art. 8 (‘promuove caratteristiche sostenibili’), è necessario un controllo più approfondito: cerca il documento ‘informativa sulla sostenibilità’ e verifica la percentuale minima di investimenti sostenibili dichiarata.

– Forum per la Finanza Sostenibile, Guida alla classificazione SFDR

Oltre alla classificazione SFDR, esistono label nazionali come l’ISR francese o il FNG-Siegel tedesco. Questi possono aggiungere un ulteriore livello di garanzia, poiché spesso impongono criteri più stringenti rispetto alla sola normativa europea. Tuttavia, anche in questo caso, è fondamentale non fermarsi al logo, ma verificare i criteri specifici di quel label. Un approccio da “detective” consiste nel confrontare sempre la classificazione SFDR, le prime 10 posizioni in portafoglio e la metodologia dichiarata nel prospetto informativo. Solo così il “bollino” diventa un vero indicatore di fiducia.

Punti chiave da ricordare

  • L’investimento ESG efficace non si basa su etichette, ma su un’analisi critica da “detective finanziario”.
  • La vera performance ESG deriva dalla riduzione dei rischi a lungo termine (ambientali, sociali, di governance), che protegge il capitale da crolli improvvisi.
  • L’impatto più significativo si ottiene finanziando la transizione di aziende tradizionali con piani credibili, non solo investendo in quelle già “verdi”.

Come trasformare la transizione green in un vantaggio competitivo per la tua piccola impresa?

Finora abbiamo analizzato l’universo ESG dal punto di vista dell’investitore. Ma ribaltiamo la prospettiva: come può un’azienda, specialmente una piccola o media impresa, trasformare la transizione ecologica da un costo a un potente vantaggio competitivo? E perché questo rende tali aziende obiettivi di investimento così interessanti? La risposta è che la sostenibilità, se integrata nel cuore della strategia aziendale, crea un “fossato” competitivo (un “green moat”) difficile da replicare per i concorrenti.

Un’azienda che investe seriamente nella transizione non sta solo riducendo il proprio impatto ambientale; sta costruendo un business più resiliente, efficiente e attraente. Ad esempio, investire in efficienza energetica riduce i costi operativi in modo permanente. Sviluppare prodotti con un ciclo di vita circolare apre nuovi mercati e fidelizza clienti sempre più attenti a questi temi. Implementare solide politiche sociali e di governance attira i talenti migliori e riduce il turnover. Questi non sono benefici “soft”, ma vantaggi economici tangibili che si riflettono direttamente sull’ultima riga del bilancio.

Questo crea un circolo virtuoso. Le aziende che comunicano in modo trasparente i loro progressi ESG non solo conquistano clienti, ma attirano anche capitali. Gli investitori, dai grandi fondi pensione ai piccoli risparmiatori, stanno sempre più usando filtri ESG per le loro decisioni. Un’azienda con un forte profilo di sostenibilità ha un accesso più facile e meno costoso al credito e al capitale di rischio. Questo è un vantaggio enorme, specialmente per una PMI in crescita. I dati confermano che l’impatto paga: un’analisi di ET.Group ha mostrato un rendimento medio del 7,85% per i fondi azionari impact autorizzati in Italia nel 2024, a riprova del fatto che il mercato premia le aziende che generano impatto positivo.

Per l’investitore, individuare queste PMI che stanno costruendo il loro “green moat” è una strategia vincente. Si tratta di investire in aziende che non solo sono allineate a un futuro sostenibile, ma che stanno anche costruendo le fondamenta per una crescita duratura e una redditività superiore. Non si tratta di sacrificare il rendimento per l’etica, ma di capire che, nel XXI secolo, l’etica è diventata una componente fondamentale di una strategia di rendimento intelligente.

Ora che possiedi la mappa e gli strumenti del detective finanziario, il passo successivo è applicarli. Inizia analizzando il tuo attuale portafoglio di investimenti attraverso questa nuova lente critica e valuta come allinearlo meglio ai tuoi obiettivi di impatto e di rendimento.

Domande frequenti su Investimenti ESG e Portafogli Sostenibili

Qual è la differenza tra fondi Articolo 8 e Articolo 9?

Il Regolamento europeo SFDR classifica i prodotti finanziari in base al loro livello di sostenibilità. I fondi Articolo 8 (“light green”) si limitano a “promuovere” caratteristiche ambientali o sociali accanto ad altri obiettivi. I fondi Articolo 9 (“dark green”), invece, hanno la sostenibilità come obiettivo primario e vincolante del loro investimento. Questa è la categoria con gli impegni più stringenti.

Come posso verificare se un fondo è davvero sostenibile?

Non fidarti solo del nome o del marketing. Per prima cosa, consulta il prospetto informativo del fondo (KIID o KID) e verifica la sua classificazione SFDR (Art. 8 o 9). Successivamente, analizza le prime 10-15 posizioni in portafoglio: sono coerenti con gli obiettivi dichiarati? Infine, cerca sul sito del gestore l’informativa sulla sostenibilità per capire la percentuale minima di investimenti sostenibili a cui il fondo si impegna.

I label nazionali (ISR francese, FNG-Siegel tedesco) sono affidabili?

Questi label nazionali possono offrire un livello di garanzia superiore rispetto alla sola normativa SFDR, poiché spesso impongono criteri di esclusione più rigorosi o requisiti qualitativi aggiuntivi. Tuttavia, i criteri variano significativamente da un paese all’altro. Sono un buon punto di partenza e un segnale positivo, ma non sostituiscono la necessità di un’analisi personale della strategia e del portafoglio del fondo.

Scritto da Giovanni Rossi, Dottore Commercialista e Analista Finanziario Indipendente, esperto in pianificazione fiscale e gestione patrimoniale con 18 anni di attività. Guida privati e aziende attraverso le complessità del sistema fiscale italiano e i mercati finanziari volatili.